Thursday, September 25, 2014

cantanti eunuchi e produttori malandrini

Riassunto delle puntate precedenti : Visto il mio recente infojamento verso il repertorio dei grandi castrati (Farinelli, Caffarelli, Velluti, Senesino & co), e rimanendo stupefatto dai risultati vocali di quelli che oggi potrebbero essere definiti "soprani artificiali" non avendo subito l'evirazione (o come si usava in passato falsettisti, ora piu' che mai riduttivo visto i controtenori emergenti), ecco che un festival barocco dedicato ai "tesori recuperati" -nonostante la distanza (Ascoli Piceno)- poteva rappresentare una ghiotta occasione per il sottoscritto. Non solo il titolo in programma era interessante, Catone in Utica del napoletano Francesco Antonelli Torres su libretto di Metastasio, ma la locandina prometteva lo svolgimento dell'opera in una cornice settecentesca: vivande, vettovaglie e tavoli da gioco in piena e sfarzosa festa barocca . La presenza del SOPRANO EVIRATO Ginevra Di Nicola ne garantiva non solo la direzione artistica , ma anche una sua performance nel ruolo di Giulio Cesare. Pare che la voce della signora (signore ? oddio..., forse con organi genitali spontaneamente abortiti o non sviluppati e successivamente rimossi ??) sia - a detta sua - una cosa unica al mondo, qualcosa che non ha eguale nel panorama controtenorile. Cosi', dopo tanti ascolti di Scholl, Fagioli, Cencic, Daniels,Jaroussky, non rimaneva altro che ascoltare Ginevra...purtroppo su You Tube rimane solo una sua intervista antecedente al festival, in cui viene spiegata la preziosita' della serata capace di rifulgere non solo grazie alle famose arie di bravura ma anche dalla possibilita' dei presenti di spostare il loro interesse -magari durante i lunghi e noiosi recitativi - verso la parte ludica (tavoli da gioco e cosi' via). Si promette una grande cena servita da camerieri vestiti in abiti settecenteschi in cui i commensali possano anche riscoprire i sapori di pietanze dell'epoca (immagino grandi piatti di selvaggina ). La voce di Ginevra, sempre grazie alla sua intervista, appare pericolosamente simile a quella di Vladimir Luxuria, ma viene garantito che alla base esiste un intervento chirurgico di rimozione di alcune corde vocali (onestamente non si capisce bene il meccanismo, ma su certi argomenti si preferisce sorvolare... la morbosita' su certe cose davvero non esiste almeno in ambito maschile !!). Morale della favola : biglietti venduti su Vivaticket, pubblico proveniente da diverse regioni d'Italia, specialisti di musica barocca perfino dall'estero, prova generale andata in scena nonostante difficolta' di ogni tipo (non ultimo una costumista costretta a pagare lei stessa certe stoffe per abbellire i costumi previsti dalla produzione, cosi' come si legge dall'articolo di Lenoci apparso sulla rivista Opera , e un direttore d'orchestra costretto a ricevere dalla produzione solo parti del materiale musicale "concesso" per intero solo appena prima della generale). E qui sta il bello : cito testualmente "...il soprano evirato Ginevra Di NIcola ha evidenziato problemi nella memoria dei recitativi ed un dubbio gusto vocale nelle arie; le note scritte non le sa e quelle non scritte non le ha ed il resto si commenta da solo". Ma qui il mistero si infittisce: durante la prova generale il produttore comunica a Vivaticket che lo spettacolo era annullato per colpa di un'indisposizione di Ginevra, che nel frattempo stava cantando senza problemi di salute alla generale...tutto a gambe all'aria, senza nessuna ulteriore spiegazione. Nessuno e' stato pagato, cast e ovviamente staff tecnico, nessuno si e' reso disponibile per un plausibile chiarimento, Sindaco di Ascoli in primis che ha concesso il teatro per due settimane in concessione (giustamente Lenoci si domanda "a spese di chi ?"). Tutti dileguati nel nulla, senza spiegazioni logiche o professionali da parte del soprano evirato e dal produttore. Altro che fagiani, tavoli da gioco, pubblico vestito con abiti settecenteschi, una benemerita bufala ad opera dei due malandrini. Povera Ascoli, e detto tra noi, poveri turisti stranieri gia' pronti ad assaporare un lavoro oramai pronto e misteriosamente cancellato...e ahime', poveri anche noi che rimaniamo orfani della voce sovrannaturale di Ginevra, unica al mondo, che forse mai piu' nessun teatro visto l'accaduto si sentira' di commissionare...rimane la sua inquietante intervista che pecca di presunzione e superbia come non mai e rimane un conto da saldare anche alla rivista Opera per la promozione !!! Ma soprattutto, ora piu' che mai, povera Italia...

Tuesday, August 19, 2014

stranieri straniti

Venerdi' 15 agosto, Aureliano in Palmira, Teatro Rossini.


In un contesto di stranieri straniti annoiati a morte, dilaniati da sbadigli a bocca di ippopotamo , ecco che Martone-regista dello spettacolo-sfodera la sua carta vincente. Probabilmente sfruttando una autocitazione dal suo film Com'eravamo, ecco comparire in scena un pastorello che conduce una mamma capra e le sue tre figlie caprette. Le quali -ovviamente- si avventano fameliche sulla poca verzura sparsa sul palcoscenico. La scena e' inevitabilmente ridicola, non ci troviamo all'Arena di Verona, e non c'e' bisogno di scomodare cavalli o peggio ancora elefanti di zeffirelliana memoria per stupire con effetti speciali; in un piccolo teatro queste trovate assumono carattere superfluo e perfino distraente, soprattutto quando gli animali - ignorando completamente il bon ton - iniziano a defecare allegramente in scena. Qui avviene di peggio: mamma capra si accuccia e genera una pozza di piscio gigantesca che suscita una grassa risata tra gli spettatori. Il riso pero' si tramuta in apprensione quando si realizza che il palcoscenico ha una certa pendenza, e un pericolosissimo rivolo comincia a serpeggiare in direzione della buca dell'orchestra. Ora, trattandosi dell'Orchestra Rossini, si potrebbe dire poco male... il pericoloso serpentello arriva nelle vicinanze di un ignaro contrabassista preferendo pero' scomparire sotto un piccolo rialzo soppalcato. Da li' nessuna notizia. Poveri noi, non solo ci dobbiamo sorbire un'edizione critica filologica con interminabili recitativi, numero delle arie non inferiore al numero dei personaggi in scena (cosi' come avveniva per il barocco) , ma qui ci si trova davanti ad un nulla registico imbarazzante. Soldati romani con anfibi al posto dei sandali, paratie semoventi che creano labirinti stile ufficio open space,odalische da bazar di Aladino, tappeti ahime' non volanti che per raggiungere la scena devono trovare la strada per uscire dal labirinto, come in un gioco della settimana enigmistica . Quando Zenobia sale sul suo carro di battaglia , viene agghindata da una serie di ancelle che recuperano due scale a pioli da imbianchino per salire a metterle la corona. Un tonfo totale, un'immagine di forte impatto visivo completamente vanificato e ridicolizzato. Per non parlare del clavicembalo perennemente in scena, e della sua ispirata musicista che lo fa diventare azione portante della scenografia con gesti degni da film muto. Idea non banale che alla fine diventa pero' insopportabile, prolungata per le tre ore e mezzo della rappresentazione. Per fortuna Pratt e Spyres danno un po' di respiro, anche se trovo troppo impetuosa la prima e un po' diafano il secondo, soprattutto negli acuti. Nel mio stesso palco, possessore di un posto di seconda fila in un palco di terz'ordine pagato la bellezza di 110 euro, c'e' un simpatico signore americano. Al momento degli applausi finali ,mentre scatta le foto di rito, gli suggerisco all'orecchio "Don't miss the goats..."

Friday, May 16, 2014

Victory for the comic muse

Collezionismo: c'e' chi lo vede in modo positivo, capace di sviluppare doti importanti come perseveranza, ordine, pazienza e memoria, e chi al contrario lo demonizza parlandone come di una vera e propria patologia. La ricerca affannosa dell'oggetto speciale per la propria raccolta puo' sfociare per molti collezionisti in una mania ossessiva-compulsiva. "Molte di queste persone si sentono spesso inadeguate, inutili: la collezione diventa uno sfogo liberatorio, l'accumulo compulsivo li fa sentire momentaneamente meglio, finalmente "bravi" in qualcosa ", scrive la psicologa Lòpez Torrecillas. Certo, quando il collezionismo diventa il centro dell'esistenza non e' difficile capire che si e' scivolati in una malattia vera e propria; difficile pero' pensare a Cecilia Matteucci come di una persona con bassa autostima o vulnerabile. Eccola protagonista nientemeno di una serata-evento sold out all'Oratorio San Filippo Neri, cui le cronache cittadine danno rilievo parlando perfino di un inizio di zuffa tra gli esclusi. Il sottoscritto, da sempre fan della signora (una sorta di monumento nazionale vivente alla stregua di un attore kabuki), si e' presentato con largo anticipo per gioire della ghiotta occasione. Ma ahime', nonostante l'aspettativa di una consacrazione del bello, di un' esaltazione di quanto di prezioso, raro e magico la Musa e' riuscita a collezionare nel corso del tempo, la delusione ha preso il sopravvento. Alla proiezione del docu-film a lei dedicato non solo solo ci troviamo davanti ad un prodotto piuttosto impreciso e di qualita' altalenante (brutte luci, pessimo sonoro, riprese non sempre degne di una regista professionista) ma sfugge completamente il senso di preziosita' che sta dietro alla collezione, sciorinata spesso come un anonimo elenco di marche e modelli. Solo raramente gli abiti prendono vita, non solo grazie a chi ha avuto il piacere di possederli (Shirley Bassey o Maria Callas, di cui Cecilia ha comprato ben 5 modelli) ma anche grazie alla loro fascinazione di stoffe ,tessuti, colori e forme preziose. Ma sopratutto e' la figura della nostra diva glamour, definita nel film come un'icona vivente, a generare una sorta di imbarazzante impressione. Se e' vero che trent'anni di collezionismo e la visione di centinaia e centinaia di abiti possono avere sviluppato in lei un gusto estetico apprezzabilissimo, ci si trova davanti ad una donna con dei fortissimi limiti di intelligenza e di cultura. Nulla di male nell'inseguire la vanita' degli eventi teatrali, delle inaugurazioni, dei vernissage e delle sfilate, ma se dietro alla superficie lo spessore del personaggio viene a mancare allora tutto avviene come la peggiore delle rappresentazioni. L'autocompiacimento prende il sopravvento sposandosi ad una forma di sfrenato esibizionismo; perfino la generosita' di chi si pone come "benefattrice" (Cecilia ha donato gran parte del suo patrimonio al museo del costume di Palazzo Pitti) viene offuscata dal piu' becero dei motivi :la fama imperitura dovuta a due sale a lei dedicate, e l'imbarazzante confessione che "oramai non c'e' piu' spazio fisico in casa per potere inserire altri capi". A rincarare le cose, alla domanda di perche' a Bologna non e' possibile creare una sorta di collezione privata o associarsi ad un museo esistente, la Matteucci risponde "..e poi, io amo le reggie!", costringendomi all'inevitabile applauso. Pessimo l'intervento di Eugenio Riccomini, forse invogliato piu' da un piatto di tortellini che dalla serata (sua l'ammissione di non sapere nulla ne' di moda ne' di collezionismo), il quale non fa differenza tra la nostra Musa e chi colleziona teiere ai mercatini, o peggio ancora a chi ha collezionato ossicini di pollo o biglietti dell'autobus. Con rara maleducazione -non recepita dalla nostra icona troppo intenta a sfoderare sorrisi e a mostrare il suo abito dorato- il critico d'arte alla fine ammette di essere piu' ricco di lei: lui possiede migliaia di quadri pur essendo nullatenente. Non c'e' bisogno di possedere la Monna Lisa per goderne, afferma. E Cecilia si lancia in una sperticata difesa della sua attivita' di benefattrice. Non c'e' dubbio, gli abiti si logorano, vanno arieggiati, curati e talvolta restaurati , e quindi e' giusto che la signora si conceda un po' di riposo dando ad altri questo meraviglioso privilegio. Ma l'immagine di lei che parla di musica e' imbarazzante : "sono abbonata al Teatro Comunale di Bologna , ho l'abbonamento alla Fenice...". Quello potrei dirlo io : ho l'abbonamento al treno. Un'icona vivente dovrebbe parlare di emozioni, di sensazioni, di cultura, di bello,di eleganza e di lusso. E allora viene un sospetto: quanti soldi fanno il buon gusto ?

Saturday, March 01, 2014

musiche invisibili



Tra le calviniane "Citta' Invisibili" c'e' Sofronia. Due mezze citta', una piena di giostre e di ottovolanti, l'altra di palazzi,banche, scuole e marmi. "Una delle mezze città è fissa, l'altra è provvisoria e quando il tempo della sua sosta è finito la schiodano e la portano via, per trapiantarla nei terreni vaghi d'un'altra mezza città. " E qui la fantasia di Calvino lascia il segno: ad essere smontata e' la parte di marmi ,pietre e cemento, e quella ad aspettare il suo ritorno e' quella dei tirassegni e delle giostre. Ho sempre pensato a Venezia come a Sofronia, la magia e' talmente tale da pensare che qualcuno si sia rubato la meta' "seria", quella che permette la vita comune, fatta di scambi sociali, di reali abitazioni,di supermercati,di banche, di uffici. Ma poi realizzo che Venezia non e' nemmeno una citta'... la considero da sempre uno stato dell'animo. Nemmeno originale, lo so. Questo per dire che togliendo Venezia dalla top ten delle citta' piu' belle del pianeta, in quanto fuori classifica essendo una "non-citta'",metterei Roma al primo posto. Non parliamo di Londra, che emoziona,stupisce, stimola,colpisce, affascina come nessun'altra. Parliamo di Roma, eterna, con la piu' alta concentrazione di beni storici e architettonici del mondo, ricca di testimonianze di quasi tre millenni, la vera espressione del patrimonio storico, artistico e culturale del mondo occidentale europeo. Morale della favola: come non sognare anche solo un sabato di primavera per vedere dal Campidoglio il sole tramontare sui Fori Romani? Con quella luce che da' alla pietra un colore dorato, che l'accende, la infiamma e la fa diventare di una bellezza tale da togliere il fiato ? Da sempre chi mi propone vacanze romane sfonda una porta aperta: se mi avessero conosciuto dieci anni fa forse non saremmo qui a parlare di desideri ma di ricordi. Con un'idea : chissa' che tra i miei nuovi amici di oggi non ci fosse il mio vicino alla mostra di Pollock al MET di New York, da Rules a Londra, al Museo Grevin a Parigi o sulla scalinata di Trinita' dei Monti a guardare la fontana. Magari era il signore di fianco a me sull'autobus a Praga quel giorno di marzo, o quello che ho spintonato senza volere nel negozio di dischi di Milano quando ho trovato la colonna sonora in CD del Cielo sopra Berlino. O forse proprio a Berlino dove ho comprato -ca va sans dire- Heroes di David Bowie. E visto che le mie riflessioni hanno un andamento spesso circolare, parliamo proprio di Bowie. Non ho mai amato il pop o il rock fini a se stessi..nonostante credo che i Rolling Stones siano stati la piu' grande band di rock n roll al mondo non ho mai comprato un loro disco ne' sono mai andato ad un loro concerto. Mi piacciono le commistioni tra arte e musica, le mescolanze,le miscele esplosive, le fusioni impossibili (o quanto meno improbabili). E' per questo che trovo Bowie -a suo modo- un vero artista. "Rende superfluo e forse negativo il concetto stesso del definire, cioè delimitare, chi i limiti li ha da sempre resi al massimo necessari per far comprendere il significato del suo precorrere i tempi". Del resto la mia band preferita degli anni 70, alla definitiva resa del progressive o dello psichedelico, sono i Roxy Music. Qui siamo ad un tipico esempio di art-rock, dove il glam iniziale si sposa con la sperimentazione e la trasgressione. Diamo il merito ai Beatles di avere inserito gli archi in un disco pop, ma diamo onore al merito di avere avuto i Roxy Music con un vero oboista-saxofonista (Andy Mc Kay) e un genio non-musicista capace di graffiti elettronici indimenticabili (Brian Eno). Quest'ultimo poi ha segnato tutta la musica rock "colta" degli ultimi 40 anni, dai Talking Heads, Devo,Bowie,Fripp,Gabriel,U2,Coldplay e innumerevoli altri. La mia frequentazione con il pop e il rock nasce in primis dalla fortuna di un fratello di dieci anni piu' vecchio, e con gusti meno infantili dei miei (mentre io ascoltavo "Uno dei Mods" di Ricky Shayne lui portava a casa Who's Next degli WHO), e da una rivista come Stereoplay che fin dal 1973 mi aiutava a comprare un disco come "Music in Twelve Parts" di Philip Glass. Che di pop aveva ben poco,sia chiaro, ma apriva un mondo ben piu' ampio di chi fino ad allora si era sciroppato tonnellate di Genesis e di King Crimson. Fu fondamentale anche per capire un vero capolavoro come "No pussyfooting" di Fripp & Eno, che tanto doveva i suoi loop a Terry Riley o La Monte Young. Ho lunghe frequentazioni nel mondo della musica pop rock, frequentazioni che da una parte non mi hanno impedito di amare il mondo dell'opera e della sinfonica (viste rigorosamente dal vivo a teatro, fin dalla tenera eta' di tredicenne)(inclusa una "Dama di Picche " vista in una domenica pomeriggio abbandonando il mio migliore amico ad altri giochi) ma che dall'altra mi hanno completamente precluso la possibilita' di conoscere-apprezzare-comprare tutta la musica "colta" che mi circondava. Per fortuna a teatro ho visto cose che voi umani etc etc...Solti, Abbado,Celibidache,Pretre,Tate,Temirkanov,Muti, tutti li' pronti a regalare belle serate a chi come me correva poi in negozio a comprare l'ultimo di Marc Almond o dei Dead Can Dance. E se da perfetto Gualtier Malde', studente..e povero, non avevo i soldi per fare nulla, poi mi sono perfino tolto la soddisfazione di recarmi a Londra solo per vedere i miei beniamini dal vivo. Anzi, il beniamino e' sempre lui, Marc. Nessuno si senta vecchio se non conosce i Radiohead o i Throbbing Gristle, io non potrei stare al passo di nessuno nell'ascolto di nulla che non sia gia' conosciuto o digerito in ambito sinfonico. A volte, quando scopro piccoli capolavori nascosti, mi sembra di avere davvero vissuto in un mondo di musiche invisibili. Per fortuna, pronte ad essere svelate alla mente e al cuore.

Sunday, December 08, 2013

Fettuccine all'Alfredo

Purtroppo la Traviata scaligera e' stata decisamente deludente. Sulla carta aveva ogni carta in regola: Gatti direttore (dopo gli enormi successi in Germania), Diana Damrau come ottimo soprano leggero, Beczala polacco emergente oramai sdoganato nei teatri piu' importanti del pianeta,Lucic baritono gradevole e soprattutto un regista molto innovativo,Dmitri Tcherniakov, che avevo apprezzato in due bellissime rappresentazioni di Macbeth e Les Dialogues des Carmelites . Tutto a gambe all'aria. Con una riflessione. Non sono bravissimo a mettere a fuoco il genio, spesso lo sottovaluto o peggio ancora non lo capisco. Ho preso diversi svarioni nel corso della mia vita da spettatore, pensando male di Flowers di Lindsay Kemp o dei primi spettacoli di danza di William Forsythe, cose che poi ho rivalutato come autentici capolavori. Devo riflettere,capire,meditare. Cosi', anche nelle cose che mi appaiono bruttissime mi trovo ora disposto al dialogo, alla ricerca di una motivazione, di una spiegazione razionale capace di farmi cambiare opinione. Eppure, ci sono cose che proprio non capisco. E non le capisco per cultura. Non riesco ad entrare nella profonda violenza dei film asiatici, nella ieraticita' di quelli coreani, nei silenzi di quelli giapponesi. Non capisco una Traviata fondamentalmente russa, con le vetrate che paiono affacciarsi non sui tetti di Parigi ma su quelli di Kiev. E non sto parlando delle brutte scelte registiche,anche se sono onnipresenti. Gli orrendi vestiti delle feste di Flora cosi' come quelli della protagonista che rimbalzano da un'epoca all'altra (dalle onde anni 20 alle parrucche ricciolute anni 80 stile Minnie Minoprio), le piume stile Toro Seduto che fanno pendant in una sorta di concerto alla Village People con il marinaretto-cameriere a torso nudo, le ciabattine con piume di struzzo che invece fanno a cazzotti con le babbucce da nonna con il pelo nel secondo atto (trionfo del kitch, con la pasta da stendere, le verdure da tagliare, e gli angioletti natalizi appesi al lampadario). Per non parlare di un'Annina -Vanna Marchi con i capelli rossi alla Ferre', di un Germont imbalsamato e monocorde come mai era successo, di un Alfredo che impacciato offre un mazzolin di fiori e i pasticcini ad una Violetta che piu' di morire di tisi sembra abbia una crisi di cirrosi epatica. Queste sono solo cose brutte. No, non sto pensando a questo. Sto pensando perche' un regista capace di regie fluide e piene di suggestioni cinematografiche (bellissima davvero la mano di Annina tesa a cacciare via gli uomini dalla casa di Violetta, loro vittima), o di curiose invenzioni drammaturgiche (tutto il monologo di Violetta del primo atto finisce in realta' ad essere un dialogo tra due donne sulla vanita' e assurdita' dell'amore, credibilissimo, o la festa di Flora dove gli amici prima ipocritamente consolano Alfredo della fine del suo amore, e poi lo mettono al centro delle loro crudeli messinscena ) finisce a richiedere una recitazione cosi' tremendamente al di sopra delle righe. Tutti i dialoghi sono esasperati, nessuno che guarda negli occhi dell'altro (tremenda la Violetta che guarda il lampadario mentre Alfredo le rivela di amarla), ogni azione e' ostentata, caricata, sproporzionata al luogo o alla circostanza, isterica, inopportuna e imbarazzante. A volte tristemente comica . Non si puo', ripeto, non si puo' tagliare zucchine e sedani dopo aver saputo della dipartita dell'amata. Non si puo' andare in escandescenze ad ogni frase che deve generare solo un minimo turbamento, non si puo' trasformare una malattia debilitante come la tisi in un'occasione per farsi l'ennesima sbornia. Chi se ne frega se Violetta muore su una sedia anziche' su un letto, ma e' bene che muoia sofferente, in preda ad un dolore atroce fisico e spirituale, non mentre istericamente ingurgita pastiglie e liquore e ingaggia un ultimo folle balletto. Buffo come perfino la Damrau, che esce comunque a testa alta dalla serata, non riesce a primeggiare per quello che e' : un soprano leggero, capace di fare scintille nel finale del primo atto. Qui il mi bemolle arriva stiracchiato e insicuro. Che sia vittima della regia, come del resto tutti i protagonisti, si intuisce fin dalla prima scena, ma che sia in debito con la sua stessa voce davvero e' un po' imbarazzante. Beczala, ahime', non e' piaciuto ai piu'. Forse perche', come suggerisce il buon Gargano, se non sei figlio di Corelli alla Scala nun te possono vede',ma anche per la sua totale inadeguatezza nel ruolo. Lucic stenco come una statua e monocorde. La Zampieri no comment. Gatti...come puo' dirigere una Traviata con tempi cosi' inadeguati ? Anche lui cede alla tentazione di assecondare una regia in cui ogni frase ha una valenza quasi "fisica", e quindi rallenta tutto all'inverosimile, ma Verdi non e' Wagner, e mai si era ascoltata (e vista) una festa di Flora nel secondo atto cosi' moscia e funerea. Al contrario quando parte Germont padre con la sua cabaletta (sempre che qualcuno l'abbia ascoltata, visto che tutti eravamo sotto shock nel vedere Alfredo con il mattarello a fare la pasta...forse le fettuccine all'Alfredo ? Magari con la Clerici in tv a dargli suggerimenti...) pesta decisamente sull'acceleratore, facendo perdere di spessore la pagina musicale. Insomma, non ho messo a fuoco quello che forse poteva salvarsi. Ma stavolta davvero non credo che i fischi siano arrivati dai "soliti talebani", cosi' come Lissner ama definirli, e che a volte come nel recente Ballo in maschera di Michieletto hanno decisamente passato il segno. Qui basta avere nelle orecchie le voci della Scotto o di Di Stefano. Non scomodiamo Visconti, per carita'. Cosa mi sfugge ? Cosa davvero non ho capito ?

Thursday, November 21, 2013

Better lat(t)e than Never







Better lat(t)e than never. E con questo siamo a posto: dopo essermi domandato cosa c'entrasse il numero 45 con la mia fede (fortify your faith) posso dire che la mia comprensione dell'inglese e' diventata terribilmente lacunosa. C'e' chi mi incoraggia a riprendere gli studi, pensando che io stia vivendo di rendita grazie alle belle lezioni del passato. Forse comincio a perdere qualche pezzo per la strada; onestamente non mi sono mai posto il problema di avere o no una buona memoria,ma vedendo quanti altri ne beneficiano ( o ne soffrono )incomincio a preoccuparmene. Mia zia, ottantaseienne in casa di cura, mi dice che sono i ricordi a farla star male. Le chiedo se sono i ricordi peggiori a darle tormento :"no - mi risponde - sono solo quelli belli che mi danno l'angoscia". Ora,la nostalgia per quanto irrimediabilmente perduto a motivo del tempo, della morte o piu' banalmente della disattenzione, e' qualcosa di cui non ho mai sofferto. Credo tuttavia di avere messo volontariamente un muro tra me e certe emozioni, diventando per certi versi perfino una persona anaffettiva,ma sempre salvaguardandomi dai mutamenti e cambiamenti della mia vita. Non posso rimpiangere cio' di cui non ho tenuto memoria; volutamente non conservo fotografie se non quelle che mi vedono con altre persone, piu' interessate di me a conservarne il ricordo. E' curioso, per una persona cosi' concentrata su se stessi come il sottoscritto (e a detta di molti perfino un po' narcisista) non collezionare il presente per poterne giore nel futuro, ma cio' che viene perso in termini di ricordi lo si acquista in mancanza di nostalgia o sofferenza. Sia chiaro, cio' che ho vissuto e' ancora vivido dentro di me , ma sono fasi concluse in attesa di altre a venire. Meno ne sono attaccato e piu' sono pronto a giore di cio' che verra'.Sono una persona onnivora, mi basta essere stimolata per ri-trovare l'entusiasmo dei giorni migliori. A volte sono io stesso a crearne, nonostante gli inevitabili paragoni: i ricordi continuano a sommarsi,inevitabilmente,nonostante la monotonia del vissuto quotidiano. A volte diventano perfino piccoli disastri (epocali ?). Vienna, 17 settembre 13. Dopo avere comprato da mesi i biglietti per Otello alla Staatsoper, vincendo gli ostacoli di una procedura macchinosissima,arriviamo a teatro, sotto una leggerissima pioggerellina (ed io a brontolare con Emanuela di non prendere l'ombrello perche' la metro era davanti al nostro albergo e potevamo arrivare direttamente alla Staatsoper in tre fermate). Immediatamente vedo che sul maxischermo piazzato a lato teatro Jose' Cura gia' urla il suo esultaaaate...a volo di condor mi fiondo sulla maschera chiedendo se e' una registrazione della sera prima. "No, e' la diretta dello spettacolo !", mi dice. " MA COOME, io qui sul biglietto ho scritto alle 19.30, ed ora sono le 19.10 !!", replico io, e lui mi risponde candidamente "Si, alle 19.30 del giorno 20, oggi e' il 17". Panico. Mi fiondo all'interno del teatro, biglietteria chiusa. Tre maschere, a cui spiego in inglese (would you mind di NOBU-iana memoria ?) l'accaduto. Nisba. Da un ufficio esce una responsabile. Guardi che mia moglie e' la nipote di Jose' Cura, faccio io...e quella "ITALIANEN MANDOLINEN TU CRETINEN E TU TORNARE DATEN GIUSTEN". Niente da fare. Ci piazziamo sconsolati a vedere la fine dell'atto sul maxischermo, ma l'umidita' e il freddo ci scoraggiano a rimanere. Altra idea brillante: perche' non prendere uno dei tram che fanno il giro del Ring e cosi' ci vediamo tutti i monumenti illuminati ? E cosi' eccoci sul tram numero due che va va va e poi...volta...e volta...e finisce negli oscuri sobborghi della citta'. Noi, vestiti da teatro, e una coppia di neri annoiati che -giunti al capolinea -ci guardano come se fossimo sbarcati dalla luna. Mano sul portafoglio e preghierina al creatore. Poi si rientra in citta', dopo aver visto quanto di peggio la periferia notturna di Vienna possa offrire. E poi via, subito in albergo. Shame, shame on me ;-)

Friday, August 30, 2013

MEMORABILIA ROF 2013

The vip hunter(s)strike(s)again!!